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Interviste

Avrei potuto portarvi all’inizio della nostra storia quando abbiamo imparato a lavorare la selce e a governare il fuoco, ma invece l’epoca in cui vi porto è quella in cui, circa 12.000 anni fa, è stata inventata una tecnologia straordinaria: l’agricoltura. Massimo Temporelli Docente di “Antropologia delle società” complesse e divulgatore scientifico Contrariamente a quello che si pensa, l’innovazione è una questione dannatamente umana. Non è una cosa che possiamo relegare nei centri di ricerca e sviluppo o nei laboratori scientifici. L’innovazione riguarda la nostra cultura: come viviamo, come ci relazioniamo l’uno con l’altra, come creiamo o riceviamo valore dagli altri. In una sola parola, l’innovazione riguarda come siamo umani. So per certo che se provassi a dimostrare questa tesi prendendo come esempio le moderne tecnologie dell’intelligenza artificiale, del cloud computing, della robotica e dell’Internet of Things sarebbe difficile convincervi ed è per questo che vi porto indietro nel tempo, dove altre tecnologie hanno, poi torneremo qui, nel nostro tempo...

Sappiamo che da allora, in migliaia di luoghi, migliaia di cooperative fanno impresa, tutti i giorni, per tenere insieme lavoro, dignità, relazioni tra le persone. Massimo Cirri Psicologo, conduttore di “Caterpillar” Quasi cinquant’anni fa, il 3 maggio 1972, nell’Ospedale Psichiatrico di Trieste, c’è una strana riunione. Davanti al dottor Vladimiro Claric, notaio, sono sedute 28 persone. Due sono sociologi, due psicologi, cinque infermieri, uno fa l’assistente sanitaria, due il medico. Il notaio descrive gli altri sedici come “privato”. Hanno tutti lo stesso indirizzo di residenza: via San Cilino 16. è quello del manicomio: vuol dire che sono pazienti, ricoverati, “internati”. Alcuni sono giovani, altri più avanti con gli anni. Francesco è nato nel 1914, Antonio nel 1911. Molti vengono dall’Istria, che dopo la guerra è diventata Jugoslavia e tanti sono scappati andando incontro alla tragedia dell’esodo e alle difficoltà di rifarsi una vita. Ferdinando è nato a Buenos Aires e non sappiamo quali incasinamenti l’abbiamo portato a...

“Bene comune vuol dire coltivare una visione comune, vuol dire investire sul futuro, vuol dire preoccuparsi della comunità dei cittadini, vuol dire anteporre l’eredità che dobbiamo consegnare alle generazioni future all’istinto primordiale di divorare tutto e subito”. Salvatore Settis La partecipazione alla vita di una comunità è, per quella comunità, un bene comune. Da preservare e custodire con cura. Scriverlo oggi è importante. Per il tempo pandemico che abbiamo vissuto e, più in generale, per il lento ma inesorabile scollamento che da almeno un ventennio colpisce il nostro cantiere democrazia in tutti gli ambiti in cui l’io confluisce nel noi. è nfatti evidente a tutti che sono sempre meno le persone che si fanno carico delle cose (dei servizi, degli spazi) pubbliche: una piazza, un’area verde, un appuntamento culturale, un gesto di solidarietà o di volontariato. Un modello di sviluppo improntato alla crescita e all’ubriacatura del mito dell’individualità ha sopperito a questo vuoto colmandolo con tecnica e risorse,...