MENU
 

Lavoro – Massimo Cirri

Sappiamo che da allora, in migliaia di luoghi, migliaia di cooperative fanno impresa, tutti i giorni, per tenere insieme lavoro, dignità, relazioni tra le persone.

Massimo Cirri
Psicologo, conduttore di “Caterpillar”

Quasi
cinquant’anni fa, il 3 maggio 1972, nell’Ospedale Psichiatrico di Trieste, c’è una strana riunione. Davanti al dottor Vladimiro Claric, notaio, sono sedute 28 persone. Due sono sociologi, due psicologi, cinque infermieri, uno fa l’assistente sanitaria, due il medico. Il notaio descrive gli altri sedici come “privato”. Hanno tutti lo stesso indirizzo di residenza: via San Cilino 16. è quello del manicomio: vuol dire che sono pazienti, ricoverati, “internati”. Alcuni sono giovani, altri più avanti con gli anni. Francesco è nato nel 1914, Antonio nel 1911. Molti vengono dall’Istria, che dopo la guerra è diventata Jugoslavia e tanti sono scappati andando incontro alla tragedia dell’esodo e alle difficoltà di rifarsi una vita. Ferdinando è nato a Buenos Aires e non sappiamo quali incasinamenti l’abbiamo portato a Trieste e poi nel manicomio. Mario è del 1897, sta per compiere 75 anni e presumiamo che molti li abbia passati in quel luogo chiuso, l’ospedale psichiatrico.
Sono tutti lì, scrive il notaio, “per costituire una società cooperativa a responsabilità limitata denominata Cooperativa Lavoratori Uniti, con sede il Trieste, via San Cilino 16.”
La cooperativa “senza finalità speculative, si propone di garantire a tutti i soci che svolgono mansioni lavorative all’interno e no dell’Ospedale Psichiatrico Provinciale, il riconoscimento dei propri diritti di prestatori d’opera e di contribuire a creare le condizioni per un effettivo inserimento nella società e per una effettiva riabilitazione (psicosociale)”.
Non sappiamo perché il dottor Claric, notaio, abbia messo tra parentesi quel psicosociale. Forse è una involontaria citazione: qualcuno, da qualche anno, sta dicendo e dimostrando che si può mettere tra parentesi la malattia mentale. Non per negarla, ci mancherebbe, ma per guardare alle persone invece che alle diagnosi che si portano dietro. Ai problemi che hanno e alle capacità che si portano dentro insieme ai problemi. Quella di lavorare, per esempio.
Sappiamo che da allora, in migliaia di luoghi, migliaia di cooperative fanno impresa, tutti i giorni, per tenere insieme lavoro, dignità, relazioni tra le persone. Per essere, con il lavoro e quello che il lavoro trascina con sé – appartenenza, soddisfazione, litigi con i capi e i colleghi, stipendi, ferie, cene di Natale, tirocini e cartellini da timbrare – dei cittadini decenti. Anche quando la vita si è un po’ incasinata e alzarsi la mattina per andare a lavorare sembra ancora un po’ più faticoso del solito. Ma poi si va.
Uno dei due medici, quello del tra parentesi, quel giorno di maggio a Trieste, si chiamava Franco Basaglia. La Cooperativa Lavoratori Uniti c’è ancora. Ha solo cambiato nome e adesso si chiama Cooperativa Sociale Lavoratori Uniti Franco Basaglia.