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Per due anni lavorammo alla messa a punto di questo azzardo – Milena Bregoli

1991. Un anno particolare a livello nazionale, con la promulgazione della legge 381 sulla disciplina delle Cooperative Sociali, ma anche l’anno in cui nasce Città Verde. Tu dov’eri?
Mi ero appena laureata in psicologia e stavo svolgendo il tirocinio presso il Servizio di Salute Mentale dell’allora USL 30. In quel contesto mi fu assegnato il compito di seguire un progetto riabilitativo che aveva lo scopo di inserire i pazienti in un percorso lavorativo.
Prendeva piede in quelli anni il concetto visionario che i soggetti svantaggiati potessero passare dall’essere solamente assistiti con una pensione d’invalidità, all’essere riabilitati, attraverso il lavoro inteso come strumento di creazione di una nuova identità. L’idea mi entusiasmò da subito. Così partecipai alla nascita di Mondo Verde, il primo nucleo di Città Verde.

Sei un socio fondatore dunque?
Sì, io c’ero fin dall’inizio, insieme alla mia grande amica Sandra Scaramelli, primo presidente della Cooperativa, e a 11 persone con disabilità. Per due anni lavorammo alla messa a punto di questo azzardo supportati da subito da un’infinita passione e, ben presto, anche da aiuti esterni ed evidenze numeriche.

Cosa intendi con “evidenze numeriche”?
Poco dopo la nascita di Mondo Verde abbiamo fatto una ricerca nel tentativo di misurare l’impatto del cambiamento sui soggetti coinvolti in termini di salute psichica. Abbiamo comparato il numero di ricoveri ospedalieri e la quantità di farmaci assunti nei due anni precedenti all’inizio dell’attività lavorativa agli stessi dati relativi però ai due anni successivi all’ingresso in Cooperativa dei soggetti svantaggiati. Risultato? Lo studio ha mostrato un significativo abbassamento delle esigenze mediche dei pazienti. Lo dico in un altro modo: investendo sulle persone e offrendo loro una possibilità produttiva protetta, abbiamo ridotto la spesa sanitaria (ricoveri, farmaci) senza diminuire la capacità di assistenza.
A quel punto il valore del progetto era comprovato. Lì abbiamo davvero capito che la strada era quella giusta ed è stato anche un po’ più facile convincere le persone.

Avrete avuto difficoltà all’inizio, immagino.
Far credere agli enti locali che una cooperativa di matti, così venivamo declinati ai tempi, fosse in grado di svolgere un lavoro non è stato per nulla semplice. In più all’inizio avevamo pochissima attrezzatura, insufficiente a rispondere alle commissioni di lavoro. Più volte io e Sandra abbiamo messo a disposizione cose nostre, mezzi e attrezzi, pur di svolgere le commesse. Nella foto a destra si capisce bene.

Riconosci qualcuno?
Certo, ricordo tutti, nome per nome. Due di loro purtroppo non ci sono più. Siamo nel giardino dell’Ospedale di Pieve, la nostra seconda sede, che ci venne messa a disposizione dopo che la prima sede, in via Luigi Campanini, non era più utilizzabile perché che sarebbe diventato il Centro Anziani. Chiedendo un po’ di arredi, ci dissero di controllare nel magazzino dell’Ausl dove spesso venivano ammucchiate cose ritenute senza valore. Lì dentro scoprimmo un tesoro: cose non utilizzabili da altri per noi divennero oro colato.
Il carretto nella foto è un altro dei simboli di quell’epoca in cui fronteggiavamo le crescenti esigenze della Cooperativa in tutti i modi possibili e senza mancare in creatività. Gran parte dei nostri ragazzi non potevano guidare mezzi a motore e noi ci siamo inventati il carretto e la bicicletta con il bidone legato sul davanti. I bidoni venivano riempiti presso la sede e su questi mezzi “di fortuna” portavano l’acqua agli allestimenti di vasi con piante che il Comune di Pieve di Cento aveva posizionato nelle quattro porte della città.
Poi, grazie a qualche donazione, qualche mutuo e molte belle persone che ci hanno aiutato siamo cresciuti passo dopo passo.

Vuoi ricordare qualcuno in particolare?
Difficile ricordarle tutte ma potrei dirti Stefania Ricci Maccarini, la mia tutor; i servizi sociali di Cento e Pieve di Cento; Gianni Balboni dell’Ufficio Tecnico che più di una volta ci ha dato dritte su come svolgere i lavori e l’ha sempre fatto in maniera del tutto gratuita, gli infermieri del servizio psichiatrico di allora.
Oltre a tante persone, ricordo un momento particolare, in questo caso di fatica. Durante una cena io e Sandra Scaramelli ci siamo dette: «Abbiamo bisogno di rinforzi» dovevamo assumere delle persone e la selezione, devo dire, è stata piuttosto fortunata: Giorgio Rosso che in seguito è diventato il 2° Presidente di Città Verde e Luca Marzocchi che non conoscevo ma che poi è divenuto mio marito (e lo è ancora dopo 25 anni!), a dimostrazione che fin dall’inizio i rapporti umani hanno avuto un peso speciale in Città Verde.
Sempre in quel periodo abbiamo assunto la mia amica Roberta Vignoli per la parte amministrativa: un’altra persona preziosa, scelta davvero azzeccata.

In cosa nel 1991 il progetto di Mondo Verde era speciale?
Come ho già detto la Cooperativa è stata da subito un luogo di relazione oltre che un posto di lavoro, requisito che poi non ha mai perso. Dal punto di vista del metodo ricordo che sfruttammo il Contratto Nazionale dell’Agricoltura che ci consentiva per le sue caratteristiche di calare le ore di lavoro ad personam su ogni singolo utente. Di settimana in settimana, interfacciandomi con l’équipe del servizio psichiatrico si verificava l’andamento clinico e si stabiliva insieme quante ore assegnare a ognuno la settimana successiva, non di più né di meno rispetto alle proprie possibilità. Una scelta all’avanguardia che ha dato da subito ottimi frutti.
E in cosa, oggi, Città Verde è riuscita a rimanere speciale?
Negli anni le cooperative sociali di tipo A e B sono spuntate come funghi ma Città Verde è rimasta salda e non ha mai smesso di crescere. Questo è davvero il suo punto di forza: essere impresa. Pensarsi sempre in grande. Un attributo che avevano allora e che mi sembra ben presente anche oggi.

Hai accennato prima a Sandra Scaramelli, primo presidente di Mondo Verde, e tua grande amica. Cosa ricordi di lei?
Io e Sandra ci siamo conosciute proprio lì, all’inizio di Mondo Verde, quando me la indicarono come una laureanda in Agraria e che quindi poteva portare al progetto un contributo di competenze specifiche nella gestione del verde. Il legame è stato fortissimo fin da subito. Era una persona unica, di una generosità incredibile. Insieme abbiamo speso ore e ore, di tempo privato, non retribuito (se non dall’entusiasmo), a progettare, ideare, organizzare attività che potessero permettere a Mondo Verde di stare in piedi perché entrambe credevamo tantissimo in quello che stavamo facendo. Poi nel 1995 ci siamo allontanate professionalmente perché io ho avuto un incarico a Bologna, ma la nostra amicizia è andata avanti e la nostra energia, che era insita in noi dal primo momento, è stata spesa in mille altre occasioni d’impegno di volontariato per le persone, per la comunità e per il territorio. La sua perdita è per me un dolore grandissimo che non passerà mai.


Milena Bregoli – dirigente psicologo psicoterapeuta del distretto Pianura ovest dell’AUSL di Bologna